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NON È RICHIESTO PROVARE IL GRAVE STATO D’ANSIA NEL REATO DI STALKING

19 Maggio 2016Autore: admin

13225214_10209662790874722_954812713_oCon la sentenza n. 18473/2016, la Suprema Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul regime probatorio inerente al reato di atti persecutori, andando a consolidare il proprio indirizzo già emerso nella sent. 45184/2015.

Successivamente ad una condanna emanata dalla Corte d’Appello di Torino, che riformava in melius la pena inflitta all’imputato, dal GUP di Asti, per i reati di cui agli articoli 610 e 612-bis, (violenza privata e atti persecutori), veniva presentato ricorso in Cassazione, fra l’altro lamentandosi il vizio di carenza di motivazione.

In particolar modo la V sez. Penale della Cassazione ha nuovamente affermato che per valutare la condotta dell’imputato sono sufficienti le dichiarazioni della persona offesa, costituitasi parte civile, senza la necessità di riscontri estrinseci. La responsabilità penale, quindi, sarebbe sufficientemente dimostrata “previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone”.

I giudici di legittimità hanno ribadito, dunque, che per accertare l’evento di un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero di un fondato timore per la propria incolumità, non sia necessario l’utilizzo di un supporto scientifico (come potrebbe esserlo la perizia),  prescindendosi da “qual si voglia accertamento di uno stato patologico”.

La Corte, partendo da tale assunto, e confutando il lamentato  vizio  di carenza di motivazione della sentenza d’appello, ha sottolineato come nei due gradi antecedenti di giudizio si fosse pienamente dimostrata la condotta illecita dell’imputato. Dovendosi leggere le due sentenze non già come atti separati ma come un unicum si perviene alla conclusione che la sentenza d’appello è integrata dalle motivazioni della sentenza di primo grado, dal corpo della quale sarebbe risultato palese come si fossero realizzati gli eventi alternativi del reato di stalking ascritto al reo.

Officina Lex – Studio legale Bartoletti Ascenzi

Federico Melis

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. MORELLI Francesc – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.G.P., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 638/2015 CORTE APPELLO di TORINO, del 21/07/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/02/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCA MORELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Aurelio Galasso che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. Marco Scagliola che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Torino ha parzialmente riformato, riducendo la pena, la sentenza del GUP presso il Tribunale di Asti del 25.9.14 che aveva condannato B. G.P. in ordine ai reati di atti persecutori e violenza privata tentata e consumata continuata in danno di P.K..

1.1. Premesse le doglianze contenute nei motivi di appello e relative alla inattendibilità della persona offesa, alla carenza degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori, alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla eccessività della pena, la Corte d’Appello evidenzia, per contro, che la parte lesa, già vittima dei medesimi comportamenti persecutori ad opera del B. e in ordine ai quali costui aveva già subito un periodo di carcerazione, non aveva sporto autonomamente denuncia e non si era neppure costituita parte civile, dimostrando così l’assenza di intenti persecutori e il semplice desiderio di ottenere la cessazione delle condotte vessatorie.

1.2. La credibilità della vittima sarebbe ulteriormente avvalorata, a giudizio della Corte, dalla pacatezza dei toni di una missiva indirizzata ai giudici e dai riscontri individuabili nel contenuto di una conversazione su facebook.

1.3. Le dichiarazioni della P. sarebbero quindi idonee a determinare piena prova anche delle conseguenze della condotta dell’imputato, così da ritenere pienamente integrato il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., e della sussistenza delle ulteriori ipotesi di tentata violenza privata.

Propone ricorso il difensore di fiducia dell’imputato articolando quattro motivi di impugnazione.

2.1. Si deducono vizi motivazionali in ordine alla sussistenza di uno degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori, precisamente l’evento; essendosi limitato, il giudice di appello, a fornire una motivazione del tutto apparente alle specifiche doglianze formulate sul punto nell’impugnazione.

Più precisamente non vi sarebbe alcun riferimento al mutamento delle abitudini di vita della vittima ed una motivazione di stile quanto alla prova del perdurante stato di turbamento e del timore per la propria incolumità.

Si sostiene che, ove fosse ritenuto provato uno soltanto degli eventi indicati dalla norme in via alternativa, la pena avrebbe dovuto essere ridotta.

2.2. Si deducono vizi motivazionali in ordine alla ritenuta attendibilità della parte offesa, essendo invece desumibile dalla lettura degli atti, che la relazione sentimentale fra i due giovani non si era interrotta neppure dopo la condanna e la carcerazione di lui e che la P. era unicamente preoccupata di nascondere il rapporto ai propri genitori.

2.3. Si deducono vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza delle tre ipotesi di violenza privata evidenziando, quanto al capo b), che il fatto era stato descritto dai tre testimoni in tre modi diversi, quanto al capo c), che l’unica prova era costituita dalla deposizione della parte lesa, non attendibile e, quanto al capo d), che il racconto è intrinsecamente inattendibile.

2.4. Si deduce infine violazione di legge, oltre ai vizi motivazionali, in ordine alla determinazione dell’aumento di pena per i reati posti in continuazione, in quanto l’aumento di pena inflitto per i reati di tentata violenza privata è identico a quello inflitto per il reato di violenza privata consumata.

Motivi della decisione

I primi due motivi di impugnazione rappresentano una sostanziale replica dei motivi di appello, avendo, in quella sede, il difensore sostenuto che la P., già vittima di atti persecutori ad opera dell’imputato, condannato con sentenza della Corte d’Appello di Torino del 25.5.11, irrevocabile il 13.8.11, temeva le reazioni di genitori ed amici se avessero scoperto che aveva ripreso a flirtare con il B. e quindi aveva reso le dichiarazioni poste a fondamento dell’accusa per dissimulare la vera natura dei rapporti con l’ex fidanzato.

Il giudice d’appello ha sottoposto le dichiarazioni della vittima ad un attento vaglio di attendibilità ed ha escluso la strumentalità di esse in quanto il processo non era sorto a seguito di una denuncia della ragazza bensì dopo una segnalazione inviata dalla PG che aveva svolto accertamenti in ordine alla richiesta di ammonimento ai sensi del D.L. n. 11 del 2009, art. 8.

Pure sono stati positivamente valutati, al fine di giudicare l’attendibilità della teste, la mancata costituzione di parte civile, l’assenza di toni esasperati nei suoi narrati e l’esistenza di messaggi facebook.

Si è anche dato conto, nel procedere ad una riduzione della pena, che la giovane aveva stigmatizzato la gravità delle condotte in suo danno soltanto in relazione a quelle commesse nell’ultimo periodo (autunno 2013- primi mesi del 2014) ed aveva sfumato i toni con riguardo ai comportamenti dell’imputato nell’anno precedente, non escludendo che inizialmente vi potesse essere stato un fraintendimento, da parte dell’imputato, dell’atteggiamento della vittima.

1.1. Complessivamente, quindi, il giudice di merito ha compiuto una corretta valutazione dell’attendibilità della parte lesa applicando i canoni interpretativi indicati dalla costante giurisprudenza della Cassazione e tenendo nel debito conto le argomentazioni difensive.

Le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata;

mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 5, Sentenza n. 1666 del 08/07/2014 Ud. – dep. 14/01/2015 – Rv. 261730).

1.2. Deve essere altresì ricordato che in tema di sentenza penale di appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. Le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Dunque, il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino; conff. Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano; sez. 2, n. 19947 del 15 maggio 2008). Ciò perchè la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi).

1.3. In particolare, si osserva che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto inaccettabile la tesi difensiva secondo cui il fatto che la parte lesa abbia, in alcune occasioni, dato corso alle attenzioni dell’imputato, la renda immune dalla conseguenze dei pesanti atti persecutori subiti.

2.L’insussistenza di vizi motivazionali in ordine alla riconosciuta attendibilità della parte lesa determinano l’infondatezza del ricorso anche per quanto riguarda la prova della sussistenza dell’evento del reato di atti persecutori.

2.1. Premesso che il delitto di atti persecutori è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità.

(Sez. 5, n. 29872 del 19/05/2011 Rv. 250399); i giudici di merito hanno quindi correttamente ritenuto che le affermazioni della parte offesa fossero idonee a ritenere provata l’esistenza di un turbamento emotivo ed ingenerato il timore per l’incolumità propria e delle persone vicine.

2.2. Evidentemente il complessivo giudizio di attendibilità attribuito alla parte lesa ha consentito di ritenere provato che la condotta dell’imputato le avesse cagionato un perdurato stato di turbamento emotivo ed ingenerato il timore per l’incolumità propria e delle persone a lei vicine (si veda sul punto pag. 4 della motivazione di primo grado ove si riportano le dichiarazioni della P. secondo cui ella era arrivata a frequentare di nascosto compagnie maschili per timore delle ritorsioni da parte dell’imputato e la situazione, nel suo complesso, le aveva ingenerato un forte stato di ansia, per contrastare il quale era stata costretta ad assumere dei farmaci).

2.3. Non vi è alcuna contraddizione o illogicità nell’avere ritenuto che lo stato di ansia in capo alla parte offesa possa essersi determinato anche in ragione dell’indole violenta ed aggressiva dell’imputato, dal momento che l’avere riportato una condanna per atti persecutori nei confronti della medesima parte offesa e l’avere posto in essere le condotte contestate nell’ambito del presente procedimento evidenziano certamente un’indole violenta ed aggressiva da parte del B., a prescindere dal fatto che egli abbia o meno picchiato la ragazza.

2.4. Il giudizio di gravità del fatto prescinde dal verificarsi di tutti o di uno soltanto degli eventi alternativi di cui all’art. 612 bis c.p., in ogni caso, quanto osservato nel ricorso sul punto non ha rilevanza alcuna, posto che i giudici di appello hanno evidentemente effettuato una valutazione di maggior favore per l’imputato riducendo la pena.

3.Le argomentazioni svolte consentono di ritenere infondato anche il terzo motivo di ricorso, dal momento che l’attendibilità della parte lesa fonda il giudizio di responsabilità in ordine ai reati contestati ai capi c) e d) mentre, quanto al capo b), le discrasie fra i racconti dei testi non sono tali da sminuirne la validità come già osservato dai giudici di merito con valutazioni in fatto incensurabili in questa sede (Si veda comunque sul punto l’ampia motivazione alle pagg.8 e 9 della sentenza di primo grado, ove si elencano gli elementi di riscontro alle affermazioni della P. anche per quanto riguarda le ipotesi di violenza privata).

4.L’avere determinato gli aumenti per la continuazione in misura identica per ciascun reato satellite, nonostante si trattasse delle diverse fattispecie di violenza privata tentata e consumata, non viola il principio di legalità nè quello di ragionevolezza. Il giudice di appello ha accolto uno dei motivi di gravame ed ha ridotto gli aumenti per la continuazione a giorni quindici di reclusione per ciascuno dei reati satellite.

4.1. Va ricordato che, in tema di determinazione della pena, quando la pena venga irrogata in misura prossima al minimo edittale l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, sicchè è sufficiente anche il richiamo a criteri di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. , Sez. 4, n. 38536 del 21/9/07.

Dal momento che si procede in ordine al reato di cui all’art. 612 bis c.p., debbono essere omesse, in caso di diffusione del provvedimento, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2016

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